Spagna

Viaggio in Andalusia, dal 22 al 26 settembre 2010

L’Andalusia, finalmente. Ci voleva il Cral del Comune perché il sogno si avverasse.

Mercoledì 22 settembre: appuntamento in piazza d’Armi per le 4, un’autentica levataccia. La compagnia è buona, a tenerla in riga ci penserà la sempre rigorosa e solerte presidentissima Giovanna. Arrivo all’aeroporto di Bologna e imbarco sul 737-800 della Ryanair. Decollo e tutto liscio fino a Siviglia, con un volo di  quasi due ore e mezza fra foschia e nuvole.

Raccolti i bagagli, via per Ronda. L’autista del pullman diventa subito per tutti “Alonso”: in tre giorni ci farà provare non poche emozioni con brusche frenate, una macchina in sosta sfregiata e un’ora di su e giù a Torremolinos alla ricerca dell’albergo. La strada è terribile per il fondo sconnesso e il continuo sali-scendi. Neppure il paesaggio ci aiuta, brullo e roccioso com’è e ancor più noioso per la giornata opaca.

Ronda

Giungiamo a Ronda, una cittadina che trasmette la sensazione di trovarci nel cuore della Spagna antica e tradizionale. Ovunque simboli religiosi e riferimenti alla corrida. Pranziamo da Pedro Romero, in locali tappezzati all’inverosimile di quadri, foto, manifesti e autografi a tema unico: tori, toreri e corride.

Ronda ha la bizzarra caratteristica di essere tagliata in due da un canalone profondissimo scavato nella roccia. La guida Armando è un tipo simpatico e loquace. Visitiamo la Arena de toros, compresi i locali solitamente non accessibili al pubblico. Fa impressione. Armando ci dice che è una delle più grandi di tutta la Spagna e che non vi si possono avventurare toreri più che esperti senza correre il rischio di lasciarci la pelle. In Spagna, Portogallo e parte della Francia si uccidono 28.000 tori ogni anno. Una vera industria che pare dia lavoro – e soprattutto faccia guadagnare soldi – a chissà quanti. Il biglietto d’ingresso costa 150 euro, molto di più se acquistato ai “bagarini”. Ma nell’opinione pubblica cresce la percentuale di quanti sono contrari a questo spettacolo cruento.

Una passeggiata fra le viuzze del quartiere più antico, qualche foto ed è già tempo di ripartire per Torremolinos percorrendo una strada non migliore di quella già fatta.

Le località sul mare, prima Marbella e poi Torremolinos, sono francamente bruttine. Attorno ai nuclei urbani originari, bianchi e con tante palme, sono cresciuti a dismisura insediamenti e cementificazione, con tipologie che fanno apparire le nuove costruzioni come altrettanti alveari. Pernottiamo all’Hotel Royal Costa (tre stelle ben portate) e la mattina dopo via per Malaga sotto un cielo insolitamente – così ci dicono – grigio e piovigginoso.

Malaga

Dovrebbe essere la città dalle temperature più alte e invece, complice la pioggia, di alto c’è soprattutto il tasso di umidità. Visita al centro storico, alla cattedrale e al Museo Picasso. Grandi viali alberati – prevalgono le palme, purtroppo condannate a morte da una malattia contro la quale pare non esserci rimedio –  e stradine strette e pittoresche in centro. Forse una giornata di sole ci avrebbe consentito di meglio apprezzare le bellezze di Malaga.

Pranzo in gruppo e alle due di nuovo in pullman, affrontando un altro percorso disagevole per la condizione delle strade tracciate in un territorio aspro e accidentato. A lato scorrono in continuazione rocce, grandi grovigli di fichi d’india, piante grasse che farebbero la gioia dei nostri Garden.

Granada

A Granada è d’obbligo la visita all’Alhambra, mentre il tempo continua a smentire l’idea di un’Andalusia eternamente sotto il sole. L’Alhambra costituisce la testimonianza di quanto grande, ricca di storia e di cultura, sia stata la presenza degli arabi in Spagna. Sotto la loro dominazione, durata più secoli, convivevano in pace mussulmani, ebrei e cristiani. Granada è stata l’ultima grande città strappata agli arabi dai re cattolici con la Reconquista.

Vera e propria città fortificata, l’Alhambra prende il nome dal colore rosso predominante del territorio che la circonda. Gli ambienti periferici introducono, con una precisa gerarchia, a quelli riservati ai dignitari, poi al sultano e alla sua corte. Ovunque la stessa scritta in arabo, ripetuta mille e mille volte: “Non v’è altro vincitore se non Allah”. Poi visita ai giardini del Generalife, immensi, con una grandissima varietà di fiori e piante. E ovunque acqua: fontane, zampilli, ruscelli, laghetti. L’antica moschea è oggi una chiesa cattolica.

A sera sistemazione in albergo l’Hotel Macía Gran Via. Tre stelle e nome pomposo, ma qualità non proprio eccelsa. In alcune stanze manca il bidet, un accessorio al quale risulta difficile rinunciare.

Dopo cena molti vanno ad assistere allo spettacolo di flamenco, nelle cuevas dei gitani. Bello e coinvolgente, vera espressione dell’Andalusia più tradizionale.

La mattina dopo, venerdì, colazione in albergo e di nuovo in pullman alla volta di Cordova, sempre con al volante l’ineffabile “Alonso”. Il paesaggio è bello, tutto ondulato e tutto ulivi, a perdita d’occhio. Nelle zone di campagna non ci sono case sparse come da noi, solo piccoli paesi. E nessuno nei campi, anche se è facile immaginare che durante i lavori di potatura, pulitura e raccolta serviranno migliaia di persone.

Cordova

La vista di Cordova illuminata dal sole contro un cielo nuvoloso, sulla sponda opposta del Guadalquivir, è davvero straordinaria. Attraversiamo a piedi il lungo e antico ponte romano e sostiamo nella piazza accanto alla Mezquita in attesa della guida. Dovrebbe essere un uomo e invece è una ragazza, Nani.

Cordoba è stata capitale della Spagna araba, la Mezquita è il simbolo di quella civiltà. Costruita in fasi successive, copre una superficie di 23.400 mq., un’enormità. Anche qui è evidente la sovrapposizione di stili: su quello arabo – colonne che simboleggiano il palmeto, penombra, sobrietà – si sono innestati senza riguardo quelli delle chiese cattoliche: sfarzo, oro, gotico, barocco. L’idea di allora fu quella di celebrare la vittoria dei re cattolici sugli arabi. Il risultato impressiona, ma sa anche di manomissione.

Pranzo in un ristorante tipico – abbondante, con tanta verdura e una paella così così – poi si va a vedere la Medina, cittadella araba a qualche km, posta su un’altura dalla quale si domina l’ampia vallata. Pare che gli scavi abbiano riportato alla luce solo il 7 per cento dell’intera area, ma bastano per dare anche in questo caso l’idea di grandezza e di razionalità.

Siviglia

Poi si riparte con destinazione Siviglia. Scendiamo – come dicevano i viaggiatori di una volta – all’Hotel Giralda della catena Catalonia.

Sabato. Colazione e visita guidata alla città, più bella di quanto ci si potesse attendere. La prima parte del percorso si fa in pullman ad andatura lenta: vediamo la Torre del Oro, costeggiamo il Guadalquivir, arriviamo ai padiglioni dell’Esposizione ibero-americana del 1929 (promossa per consentire alla Spagna di riallacciare le relazioni con l’America dopo la perdita di Cuba nel 1898, ma sostanzialmente fallita per la grande crisi scoppiata proprio nel ’29). Passiamo davanti alla Real Fabrica del Tabaco immortalata da Bizet nella Carmen, e alla bella stazione dei treni.

Sosta per visitare Plaza de España. E’ uno spettacolo mozzafiato: all’ingresso, ai piedi di una grande scala, un giovane suona meravigliosamente l’arpa, davanti si apre uno scenario da favola. Realizzata in 12 anni proprio in occasione dell’Expo del 1929, la piazza ne è il cuore. E’ di forma ellittica, con tre quarti costituiti da un loggiato e l’altro quarto che si apre sul parco. Difficile descriverla. L’emozione di questa mezz’ora vale da sé tutto il viaggio.

Successivamente ci immettiamo nei giardini pubblici: piante grandissime e fiorite, alberi maestosi, il monumento alla scoperta dell’America con le classiche due colonne (quelle d’Ercole) del “Plus ultra”. Visitiamo il quartiere ebraico con le sue stradine strette e dai molti spigoli e arriviamo nel centro della città vecchia. Visitiamo la cattedrale – solo la parte aperta ai turisti – e molti salgono sulla Giralda, la torre che prende il nome dalla statua posta alla sommità e in grado di girare secondo la direzione del vento.

L’interno della cattedrale supera ogni immaginazione in fatto di ricchezza e magnificenza. Dietro l’altare si eleva una grande parete d’oro, le stanze del tesoro contengono oggetti di valore incalcolabile. E inoltre tutto quello che nei secoli ha fatto di questo luogo uno dei centri della cristianità e del potere della Chiesa. Vediamo anche la tomba di Cristoforo Colombo.

Poi ci si divide in gruppi per il pranzo. Fa molto caldo (35 gradi), ma basta sostare un po’ all’ombra per rigenerarsi grazie alla piacevole brezza che sembra venire in soccorso.

Pomeriggio libero in giro per la città e, soprattutto, per i negozi. A sera, dopo una tappa in albergo per rinfrescarsi e prendere un golfino, di nuovo in moto alla ricerca di un posto suggestivo dove cenare. C’è chi giura di averlo trovato e chi eccepisce sulla qualità della paella: alla fine tutti soddisfatti.

Altra lunga scarpinata per tornare all’albergo. Di strada in questi giorni ne abbiamo fatta davvero tanta. Subito a letto perché la mattina dopo, domenica, la sveglia suona alle 6.15. Colazione e alle 7.30 tutti in pullman per l’aeroporto. Fra il check-in e l’imbarco resta il tempo per gli ultimi acquisti. Decollo alle 10.15, quasi in orario. Poi il ritorno con due ore e un quarto di volo, a tratti con un po’ di ballo, ammirando la terra, il mare, le città e le nuvole da 8.000 metri d’altezza.

L’avvicinamento – il “corto finale” come si dice in gergo aviatorio – è un po’ movimentato e l’atterraggio non dei migliori. Appena toccata la pista, si ode in carlinga l’allegro squillo di una tromba. Dev’essere il pilota che tira un sospiro di sollievo: “Uaoh, che culo. Anche stavolta ce l’ho fatta!”. Applauso spontaneo.

Impressioni di viaggio

A Bologna ci accolgono un bel sole e una temperatura più gradevole. Ancora sul pullman e a Faenza, a casa.

Che dire del viaggio? Bello, un po’ faticoso, ma bello. Abbiamo visto città stupende, ricche di storia e di monumenti. La gente veste con sobrietà, ma in modo ordinato e decoroso. A Siviglia abbiamo visto pochi giovani “alternativi” che, pur distinguendosi dagli altri, non hanno niente in comune con certi sbracati che proliferano dalle nostre parti con pantaloni a cagarella, pance scoperte e capelli in disordine.

Il costo della vita resta più basso rispetto a quello italiano. I servizi funzionano: ci hanno sorpreso i semafori con l’indicazione dei secondi che mancano al cambio di colore e l’avvisatore acustico per i non vedenti.

La cucina è sostanzialmente più povera della nostra – mai visto nei menù qualcosa di simile alle nostre bistecche – ma gli ingredienti, amalgamati secondo vecchie consuetudini, rendono i piatti saporiti, appetitosi e non indigesti.

Ottima la compagnia: fra amici ci si diverte sempre di più. Mai un ritardo o un disguido, merito di tutti e in primo luogo di chi ha guidato e assistito il gruppo con abilità e la necessaria fermezza. 

Arrivederci al prossimo viaggio, col Cral ovviamente.

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