Palazzo Milzetti

La severa facciata neo-cinquecentesca che caratterizza dall’esterno Palazzo Milzetti crea un sorprendente contrasto con l’interno, ricco di decorazioni squillanti. Si tratta certo di un effetto voluto, nè costituisce un episodio isolato tra i palazzi faentini, che rispettano tutti, all’esterno, quella misurata eleganza che dà un tono così omogeneo al centro storico cittadino.

Fu il conte Nicola Milzetti, probabilmente dopo il terremoto del 1781, che volle erigere un grande palazzo. utilizzando in parte le fondamenta di case più antiche, danneggiate. Per il progetto scelse l’architetto faentino Giuseppe Pistocchi, che lavorò alla fabbrica fino al 1796 quando, per il suo atteggiamento filofrancese, fu imprigionato a S. Leo.

Nell’anno 1800 il conte Francesco Milzetti, nuovo proprietario del palazzo in costruzione, chiamò a completarlo Giovanni Antonio Antolini di Castelbolognese. Gli spazi interni e la facciata erano già definiti, quando questo secondo architetto giunse a progettare le parti di più solenne ufficialità, soprattutto lo scalone e la sala ottagonale, detta il Tempio di Apollo.

Nel 1802 potè iniziare i lavori l’equipe dei decoratori. Ne era re­sponsabile un artista piemontese, ma di educazione romana: Felice Giani, già noto in città per le tempere splendenti che aveva eseguito in alcuni altri palazzi.

Le sue decorazioni, di tecnica fragilissima, ma ancora straordina­riamente ben conservate, obbediscono al gusto per le tematiche e i repertori tratti dall’antico, secondo quella che, in età neoclassica, fu una moda vera e propria. In mezzo al salone ottagonale, al piano nobile, campeggia il Carro d’Apollo: nella Sala delle Feste, adia­cente, si vedono episodi tratti dall’Iliade. Proseguendo a sinistra s’incontrano la sala di Numa Pompilio e quella di Ulisse, con le rispettive storie raffigurative. Viene poi il gabinetto d’Amore, un elegantissimo boudoir interamente rivestito di esili repertori archi-tettonici “alla pompeiana”; mentre il Trionfo d’Amore sulla volta è tratto da un diverso “classico”: il Petrarca.

Su una parete di questo piccolo e preziosissimo ambiente c’è anche la data 1805, che segna, con ogni probabilità, la conclusione delle decorazioni gianesche. A questa prima fase dei lavori appartengono anche gli stucchi del piano nobile, eseguiti da Antonio Trentanove di Rimini, che presto lasciò il cantiere, e poi dai fratelli faentini Ballanti Graziani sui disegni forniti dal pittore piemontese. Sono ancora molte le decorazioni del palazzo, eseguite anche in epoca più tarda, ma rispondenti sempre ad un gusto assai omogeneo a quello delle prime. L’opera del Giani a Faenza inaugurò infatti uno di quei fenomeni di lunga durata che danno impronta alla produzione artistica in settori molteplici, per parecchie generazioni.

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